Che cos'è una legge fisica - Dall'esperienza alla teoria, senso comune, astrazione e realtà

Bernardini Carlo

Che cos'è una legge fisica - Dall'esperienza alla teoria, senso comune, astrazione e realtà

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    [...] E' inutile fingere. Per chi si occupa professionalmente di fisica, la gente si divide in tre categorie: gli studenti, i colleghi e quelli che non ne vogliono più sapere. Quest'ultima categoria, evidentemente, è fatta di persone che forse hanno subito un trauma: lo deduco dal comportamento di tanti miei conoscenti che, quando mi capita di accennare a qualche problema della fisica, si tappano letteralmente le orecchie. Ebbene, anche se la tentazione di rivolgersi soltanto a studenti parlando di leggi della fisica è molto forte, cercherò di fare tesoro del rifiuto esplicito dei conoscenti perchè mi sembra che meriti attenzione.

    Incomincio, anzi, con un esempio che ci sarà utile nella sua semplicità. Un giorno, mentre una mia zia cucinava, le ho detto: "Ehi, zia! l'acqua è a cento gradi". Mi ha guardato storto, cosicchè ho aggiunto: "Si insomma, bolle"; e lei ha borbottato, malevola: "Tu e le tue leggi della fisica". Non ci sarebbe altro da dire. Ma mi è capitato di pensare all'improvviso che molti forse ritengono che la frase "l'acqua bolle a cento gradi centigradi" sia una legge della fisica. Non mi sarebbe venuto in mente questo sospetto, se non avessi parlato con un esponente del "rifiuto". Del resto a molti potrà facilmente apparire realistica la seguente scenetta, che rappresenta un esame immaginario nello stile ancora in voga qualche anno fa:

    Professore: "A quale temperatura bolle l'acqua al livello del mare?"

    Studente: "Mah..mi pare..."

    P.: "Dica, dica!"

    S.: "A...cento gradi centigradi.."

    P.: "Bene. Vedo che conosci le leggi della fisica"

    In questa scenetta, il somaro è il professore. E perchè il professore sarebbe un somaro? Perchè il fatto che l'acqua bolle a cento gradi centigradi al livello del mare è semplicemente un dato e non una legge.

    In una scuola ideale, né studenti né professori dovrebbero essere tenuti a conoscere a memoria questi dati. Sarebbe molto meglio che sapessero dove sono raccolti. Anzi, che avessero con sé una memoria di carta, un librettino che raccoglie ordinatamente tutti i dati di uso comune.

    Intendiamoci, se uno non ricorda a quanti gradi bolle l'acqua al livello del mare c'è da chiedersi dove vive. Perchè questo dato è anche un luogo comune ed è molto improbabile non averlo mai sentito. Ma, dal punto di vista delle conoscenze scientifiche, vale quanto il dato che il mercurio bolle a 357 centigradi e l'alcol etilico a 78. Sta tutto nel librettino delle tabelle, ne parleremo più avanti. Comunque, si tratta di dati e non di leggi della fisica. [...] 

     

    [...] La leggenda vuole che Newton, stando seduto a pensare sotto un albero di mele, ricevesse un frutto sulla testa; e che, invece del bernoccolo, gli venisse l’idea giusta, attraverso una domanda ben formulata: «Come mai questa mela mi cade sulla testa e invece la Luna non cade affatto sulla Terra?». Vero o falso che sia questo aneddoto, una nipote di Newton lo raccontò all’illuminista francese François-Marie Arouet Voltaire (1694-1778), il quale lo diffuse e lo rese popolarissimo. Il famoso meIo era oggetto di visite, nella campagna in cui Newton si era rifugiato nel 1665 per sfuggire alla peste che infuriava a Londra; nel 1820, l’albero morì e il tronco fu fatto a pezzi, che divennero reliquie. Ma diciamo che se a uno di noi fossero caduti in testa i frutti di un intero albero, non avrebbero prodotto lo stesso effetto... Lo stesso Newton era cosciente dell’apparente occasionalità di molti pensieri, anche scientifici, quando scriveva: «lo non so come il mondo mi giudicherà, ma io, a me stesso, faccio l’effetto di un bambino che gioca in riva al mare, divertendosi a raccogliere ora una pietra più levigata, ora una conchiglia più brillante, mentre l’oceano sconfinato della verità si estende inesplorato davanti a lui». A parte gli aneddoti e la modestia di Newton, vediamo su quale conchiglia brillante aveva messo le mani. [...]


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